giovedì, 21 novembre 2024
 
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Avvocato Daniela Messina  
   
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Avvocato civile e avvocato del lavoro - Torino e Ivrea

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DOMANDE FREQUENTI

In questa sezione vengono messe a disposizione, a titolo di consultazione, nozioni ed informazioni concernenti le categorie Diritto Civile e Diritto Penale.

Si tratta di risposte ad una serie di questioni che sono state poste all'attenzione dell'Avvocato civile e del lavoro Daniela Messina e che possono coinvolgere una pluralità di utenti, che necessitano di una prima valutazione da un punto di vista legale.

L'avvocato Daniela Messina invita a visitare periodicamente il sito internet, la Pagina FACEBOOK “Studio Legale Avv.Daniela Messina” @avvocatodanielamessina e il BLOG dell'Avv.Daniela Messina https://avvocatomessina.wordpress.com/ per poterne apprezzare i progressivi aggiornamenti.

Va precisato che, per una miglior comprensione degli argomenti, le risposte sono espresse in linguaggio semplice e il più possibile comprensibile a tutti e, pertanto, devono intendersi necessariamente a carattere generico ed esemplificativo.

Il visitatore potrà, altresì, contattare lo Studio Legale per chiedere approfondimenti su queste o altre materie di interesse mediante il semplice invio di una e-mail all'indirizzo o compilando l'apposito form nella sezione Consulenze on line.

    LA PROPRIETA’

  1. Quali sono le azioni che possono essere attuate a difesa della proprietà?
  2. La proprietà, regolamentata dagli artt. 832 e segg. cod. civ., è riconosciuta e garantita anche a livello costituzionale dagli art. 42 e 44.
    Caratteristica precipua del diritto di proprietà è l’assenza di limiti temporali e quindi la perpetuità della relativa appartenenza.
    Il nostro ordinamento prevede espressamente i tipi di azioni che possono essere attivati  a difesa della proprietà (artt. 948 e ss. cod. civ.):
    1)azione di rivendica (art.948 c.c.):il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o la detenga. E' un'azione reale, esperibile contro chiunque possieda o detenga il bene in un dato momento, ed è imprescrittibile, cioé può essere iniziata senza limiti di tempo. Se la domanda di rivendica viene accolta, la sentenza accerta la proprietà e condanna il convenuto alla restituzione; se, invece, la sentenza respinge la domanda,  non si crea nessun giudicato sul punto e il proprietario potrà proporre la domanda su nuove prove.
    L'azione di rivendica si distingue dall'azione di restituzione, la quale può essere esperita da chi consegna un bene ad un terzo in base ad un titolo a carattere obbligatorio, ed è personale,  prescrittibile e richiede la sola prova della consegna;
    2)azione negatoria (art.949 c.c.) : il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne il pregiudizio ovvero far cessare le altrui molestie o turbative;
    3)azione di regolamento di confini (art.950 c.c.):quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che esso sia stabilito giudizialmente;
    4)azione per apposizione dei termini (art.951 c.c.).

  3. Cosa si intende per atti emulativi? E qual'è la loro disciplina?
  4. E' bene sapere che il nostro ordinamento vieta espressamente i cd. ATTI EMULATIVI (art. 833), cioé il compimento di quegli atti di disposizione e godimento dei propri beni che non hanno altro scopo se non quello di nuocere o recare molestia ad altri senza ricavarne alcun apprezzabile vantaggio (c.d. animus nocendi).
    Accertata l’emulatività dell’atto, infatti, il proprietario ha l’obbligo di ripristinare la preesistente condizione e di risarcire il danno.
    Non sono, tuttavia, da considerarsi atti emulativi l’azione giudiziaria intrapresa per tutelare un diritto e i comportamenti omissivi, perché giustificati in termini di risparmio di costi e di energie e quindi di vantaggio.

  5. ... e in materia di immissioni?
  6. Particolare importanza riveste la normativa in materia di IMMISSIONI (art. 844): il proprietario (o il titolare di altro diritto reale) di un fondo può impedire con l’azione inibitoria le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, ecc., se eccedono la normale tollerabilità. Sono sempre intollerabili le immissioni che superano i limiti imposti da leggi o regolamenti, quali la L. 95/447 sull’inquinamento acustico, tenendo però presente che dette norme indicano limiti pubblici (rilevanti ad es. in sede penale) di accettabilità, laddove quelli di tollerabilità possono essere più bassi e vanno accertati caso per caso in relazione allo stato dei luoghi. Le esigenze della proprietà vanno, peraltro, contemperate con quelle della produzione: sono quindi consentite immissioni intollerabili, dietro versamento di equa indennità, soggette comunque al limite invalicabile costituito dal diritto alla salute.

    IL POSSESSO

  1. Cosa si intende per possesso?
  2. Il possesso (art. 1140 e segg. cod. civ.) è l'esercizio di un potere sulla cosa, che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, accompagnata dall’animus rem sibi habendi.
    Il potere sulla cosa presuppone il c.d. impossessamento, che si realizza innanzi tutto mediante apprensione materiale unilaterale. Essa si configura come occupazione, se la cosa non è posseduta da nessuno, e come spoglio, qualora avvenga in danno e quindi contro la volontà del precedente possessore.
    Non costituiscono la base per l’acquisto del possesso atti compiuti con l’altrui tolleranza (art.1141).
    L’impossessamento avviene anche mediante consegna della cosa, che può consistere in una restituzione (art. 1101), nell’esecuzione di un contratto con il quale si trasferisce la proprietà o si trasferisce altro diritto reale ex art. 1376 o posto in essere a non domino (art. 1153, 1159), se chi trasferisce è possessore della cosa, ma non titolare del diritto trasferito.
    Il possesso è caratterizzato, pertanto, da due elementi, uno oggettivo (corpus) e uno soggettivo (animus), ovvero la consapevolezza di essere possessore.

  3. Che differenza c'è tra possesso e detenzione?
  4. Il possesso si distingue dalla detenzione, che è la situazione che all’esterno corrisponde al possesso, ma è caratterizzata dal c.d. animus detinendi e quindi dal fatto che il detentore riconosce l’altruità del possesso.

  5. Il possesso è tutelato nel nostro ordinamento giuridico? Se sì, quali sono le azioni a tutela del possesso?
  6. Anche il possesso trova tutela nel nostro ordinamento giuridico. La tutela possessoria è erga omnes contro gli atti di spoglio e di molestia. Il possessore è tutelato in quanto tale a prescindere dalla buona o mala fede (è tutelato anche il possesso del ladro). L'unico limite alla tutela del possesso è che il possessore deve cedere di fronte a colui il quale, in regolare giudizio volto a risolvere la controversia, dimostri di essere legittimo proprietario, agendo con azione di rivendica.
    Le azioni a tutela del possesso sono:
    1) azione di reintegrazione (o spoglio) art. 1168: al suo esercizio è legittimato chiunque sia stato con violenza, anche non fisica, ovvero occultamente (cioè a propria non negligente insaputa) spogliato del possesso ed è volto ad ottenere la reintegrazione nel possesso stesso. Lo spoglio deve essere caratterizzato dal dolo o dalla colpa dell’atto materiale di attentato al possesso, che è atto illecito ex art. 2043. La relativa prova è a carico dell’attore.
    L’azione deve essere iniziata entro il termine di decadenza di un anno dal sofferto spoglio o dalla scoperta.
    2) azione di manutenzione (art. 1170): di tale azione si può avvalere solo il possessore (e non il detentore qualificato) in caso di molestie o turbative al possesso di beni immobili ovvero di universalità di mobili (non quindi di beni mobili, neppure se registrati).
    Anche per la molestia si richiede la colpa o il dolo. Se però l’illecita turbativa si risolve nella violazione di una norma di legge (come nel caso di inosservanza delle distanze legali tra costruzioni) vale la presunzione di conoscenza e non dovrà essere data la prova positiva.
    3) le azioni di nunciazione (artt. 1171 – 1172): possono essere esperite oltre che dal possessore, anche dal proprietario, pur se non possieda, e dal titolare di un diritto reale di godimento, ma non comunque dal detentore (anche se qualificato). Sono la denunzia di nuova opera e la denunzia di danno temuto. Sono anch’esse azioni cautelari che mirano a far cessare una minaccia presente o futura, che potrebbe concretizzarsi in un danno.

    L'USUCAPIONE

  1. Che cosa si intende per usucapione?
  2. L'usucapione (artt. 1158 e segg. cod. civ.) è il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo periodo di tempo e, talora, di altri requisiti, si produce l’acquisto della proprietà o dei diritti reali di godimento. La ratio della disciplina di tale istituto  è duplice e si fonda sull’esigenza di eliminare lo stato di incertezza tra lo stato di fatto e lo stato di diritto che può venirsi a creare in relazione al godimento di un bene e sull’esigenza “sociale” di favorire colui che gode effettivamente del bene rispetto a chi, pur essendo titolare di un diritto stesso, non lo eserciti per lungo tempo. I requisiti essenziali perché si abbia usucapione, quindi, sono il possesso ed il decorso del termine.
    Si ha usucapione del diritto quando il possesso è protratto per un certo periodo di tempo, pur se il possessore supponeva di non poter usucapire, ritenendo il bene demaniale. Il possesso utile ad usucapire è quello acquistato pacificamente e senza spoglio.
    Il tempo che deve decorrere affinché vi sia usucapione è di 20 anni per i beni immobili e le universalità di mobili; di 10 anni o 20 anni per i beni mobili a seconda che il possesso sia stato di buona fede o di mala fede.

  3. Quali caratteristiche deve avere il possesso per consentire l'usucapione?
  4. Il possesso deve essere continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico. La continuità consiste nella uniforme e costante manifestazione della signoria sulla cosa; il possesso è pacifico quando il suo acquisto non è avvenuto con violenza, cioé non è stato acquistato contro la volontà espressa o presunta del precedente possessore e mediante uso di forza fisica.

  5. La tolleranza del proprietario al possesso del suo bene da parte di un terzo consente comunque a quest'ultimo di usucapire il bene?
  6. L’art.1144 pone gli atti di tolleranza come ostativi all’acquisto del possesso. La tolleranza viene intesa non come un atteggiamento meramente psicologico, bensì come un comportamento che si manifesta in atti positivi, con i quali il titolare consente, di volta in volta che un terzo eserciti determinati poteri sul bene di sua proprietà.

  7. I beni demaniali sono usucapibili?
  8. I beni demaniali non sono usucapibili.

    LE SERVITU' PREDIALI

  1. Cosa sono le servitù prediali?
  2. Le servitù prediali (artt. 1027 e segg. cod. civ.) presuppongono l’esistenza di due fondi, consistendo in peso imposto sopra un fondo x l’utilità di un altro appartenente a diverso proprietario. Il titolare del fondo  dominante può pretendere dal titolare del fondo servente che questi non impedisca il conseguimento in fatto di quelle utilità.
    Non costituiscono servitù prediali i diritti e le servitù di uso pubblico, per es. facoltà di passare su strada privata,quando il proprietario ha messo il bene a disposizione di indeterminate persone con carattere di continuità. Non sono servitù nemmeno gli usi civici, imprescrittibili,inalienabili e perpetui spettanti a determinate collettività comunali su beni del Comune con scopi precisi.

  3. Quali sono i modi di esercizio delle servitù prediali?
  4. L’art.1065 enuncia il principio che il fondamento ed il limite del modo di esercizio della servitù è costituito dal titolo o dal possesso, a seconda che la servitù derivi dalla volontà delle parti o dall’usucapione: colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso. Accanto a tale criterio volontaristico,  ne viene posto un altro, legale, cui peraltro occorre rifarsi solo nei casi dubbi: è il cd criterio del minimo prezzo,  in base al quale la servitù, nel dubbio, deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio x il fondo servente.

  5. Esistono azioni a tutela della servitù prediale?
  6. L'art.1079 cc prevede una specifica azione a tutela della servitù: l'azione confessoria, esperibile erga omnes e che presuppone una precisa contestazione della servitù.
    Altre turbative che esulino da questo ambito potranno, invece, legittimare un’azione risarcitoria ex 2043,ferma restando l’esperibilità delle azioni possessorie.

  7. Come si costituisce una servitù prediale?
  8. I modi di costituzione della servitù sono molteplici (artt. 1058 ss): possono essere volontarie (per contratto o per testamento) o coattive.
    Non è possibile creare servitù con un atto unilaterale che non sia mortis causa.
    L'art. 1032 e segg., inoltre, disciplina le cd. servitù coattive di acquedotto e scarico, di somministrazione di acqua, di passaggio coattivo, di elettrodotto coattivo.
    Le parti possono anche costituire con contratto queste servitù stabilendo un'indennità in favore del fondo servente, il cui mancato pagamento giustifica l’eccezione di inadempimento e la risoluzione del contratto.

    COMUNIONE E CONDOMINIO

  1. Quando si costituisce una comunione? E quali sono le modalità della sua formazione?
  2. Si distingue, dal punto di vista della formazione, tra comunione volontaria, che si costituisce con un contratto, comunione forzosa, non suscettibile di scioglimento, che può costituirsi ab origine (es.condominio) o in conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo (v.art.874), comunione incidentale, che si costituisce indipendentemente da una manifestazione di volontà dei partecipanti ma può essere liberamente sciolta (es. comunione ereditaria, disciplinata da norme speciali (es. artt. 713 ss, 1116, art. 10 L.A.).

  3. In cosa consiste il condominio?
  4. Nella proprietà di edifici composti da più appartamenti coesiste una proprietà individuale dei singoli appartamenti ed una comproprietà sui beni comuni. Si tratta di una comunione forzosa.
    Il condominio negli edifici come rilevato più volte dalla Cassazione (812304/93; 12208/93) è un ente di gestione, costituito al fine di assicurare una migliore amministrazione e gestione della cosa comune senza venire ad incidere in alcun modo sui diritti dei singoli condomini. Il codice (artt. 1117 e segg.), nell’individuare le parti comuni dell’edificio, pone una presunzione di comproprietà in relazione a determinate parti dello stesso; siffatta presunzione, tuttavia, non opera, come rilevato dalla Suprema Corte, con riguardo “a cose che per le loro caratteristiche strutturali risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari”.. L’elencazione delle parti comuni non è tassativa. 

  5. Quali sono gli organi del condominio?
  6. Organi del condominio sono l’assemblea dei condomini e l’amministratore. L’assemblea è l’organo deliberativo; mentre l’amministratore è l’organo esecutivo.

  7. A cosa servono le tabelle millesimali? E se errate, possono essere modificate?
  8. Le tabelle millesimali servono per la ripartizione delle spese concernenti i beni comuni ex art. 1123 cc. Se errate possono essere modificate con efficacia ex nunc dai condomini, per contratto o dal giudice, ex art. 69 disp.att.cod.civ. (Cass.00/15094).

  9. Chi è legittimato ad agire per la tutela dei diritti del Condominio?
  10. Il condominio è un ente di gestione delle cose comuni, non è dotato di propria soggettività. L’amministratore è un mandatario che agisce in rappresentanza e nell’interesse dei condomini.
    I singoli possono agire personalmente a difesa dei propri diritti e rispondono in solido per le obbligazioni contratte dall’amministratore nel loro interesse.

  11. Le delibere assembleari possono essere impugnate? E come?
  12. Le delibere annullabili sono impugnabili entro 30 giorni, mentre le delibere con oggetto impossibile o illecito che incidono sui diritti individuali sono impugnabili in ogni tempo (Cass. 00/13013).
    Le delibere che comportano la modifica dei criteri legali di riparto (Cass. 00/126) o delle tabelle millesimali (Cass.99/5399) o una radicale modificazione della cosa comune devono essere prese all’unanimità.

  13. A quali formalità è soggetto il regolamento di condominio?
  14. Secondo le SSUU 943/99, il regolamento di condominio deve avere forma scritta ad substantiam e anche le modifiche devono essere fatte per iscritto a pena di nullità.

  15. Cosa si intende per “supercondominio”?
  16. Si ha un “supercondominio” quando vi è una pluralità di fabbricati con cose, servizi ed aree comuni. Il “supercondominio” è dotato di un proprio regolamento per la disciplina delle cose comuni. Segue le norme sulla comunione, se le cose non hanno carattere di necessità (es. piscine, tennis), altrimenti segue le norme sul condominio: secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, il criterio per decidere se il complesso debba essere regolato dalle norme specifiche sul condominio negli edifici, ovvero dalle disposizioni sulla comunione in generale, si rinviene nella funzione strumentale o autonoma dei beni comuni.
    Ed invero, esistono complessi immobiliari, nei quali talune delle parti comuni sono contrassegnate dalla autonoma utilità: si pensi alle zone verdi, ai parchi, agli impianti sportivi (i campi da tennis, da calcio, da pallavolo, da bocce etc.), ai locali adibiti ai servizi vari (i centri commerciali o di riunione), alle attrezzature per le spiagge; si tratta di beni, i quali sicuramente accrescono i pregi ed il valore del complesso immobiliare ed ai titolari forniscono comodità, conforto e svago, ma che non costituiscono parti necessarie per l'esistenza o per l'uso delle unità abitative, né destinate al loro uso o servizio. In difetto della relazione di accessorio a principale manca la ragione che giustifica il ricorso alle norme specifiche sul condominio negli edifici. Tenuto conto della funzione dei beni questi complessi vengono ad essere regolati dalle norme concernenti la comunione di proprietà.
    Il sistema fognario, invece, è espressamente previsto dall’art. 1117 cc e la relazione di accessorietà sussiste anche nei confronti di più fabbricati che nella loro individualità costituiscono autonomi condomini, e ciò  indipendentemente dal fatto che i condomini siano sorti sin dall’origine autonomi o siano derivazione del frazionamento di un condominio originariamente unico.

    SUCCESSIONI E DONAZIONI

  1. Come si devolve l'eredità?
  2. L'eredità può essere devoluta (art. 457 C.C.): per legge (cd. successione legittima) o per testamento. Si può anche avere concorso tra le due successioni, che non si escludono reciprocamente nel caso in cui il de cuius, pur facendo testamento non abbia disposto di tutti i suoi beni: in tale ipotesi, per il resto del patrimonio si applica la successione legittima (per legge). Invece, nel caso in cui il de cuius abbia disposto per testamento di tutto il suo patrimonio, le due successioni non possono coesistere.

  3. Quali sono le forme del testamento? E' vincolato a particolari formalità o può essere anche fatto senza la presenza di un notaio?
  4. Le forme ordinarie di testamento sono: il testamento olografo, cioé quello scritto, sottoscritto e datato interamente di pugno dal de cuius, e il testamento per atto di notaio. Quest'ultimo, a sua volta, può essere  pubblico o segreto. Il testamento pubblico è quello che viene redatto dal notaio avanti due testimoni e sottoscritto dal testatore, dia testimoni e dal notaio. Il testamento segreto, invece, è sottoscritto dal solo testatore e consegnato al notaio alla presenza dei testimoni.
    Vi sono, inoltre, forme speciali di testamento, tassativamente previste dalla legge (artt. 609 e ss. Cod. civ.): trattasi di testamenti che possono essere fatti solo da determinati soggetti in circostanze particolari (es. malattie contagiose, calamità pubbliche, a bordo di nave o di aeromobile, testamenti di militari...), ed hanno un'efficacia temporanea, sono revocabili ed hanno natura di testamento pubblico.

  5. Chi sono gli eredi legittimi?
  6. In mancanza di testamento o qualora il testamento disponga solo parzialmente del patrimonio del de cuius, il nostro ordinamento civile prevede la cd. successione legittima.
    Nel caso più frequente di morte senza testamento, il patrimonio è diviso tra gli eredi in base alle quote spettanti per legge (stabilite dal codice civile).
    I familiari che ereditano per legge sono: coniuge, figli, fratelli e sorelle (se mancano i figli), ascendenti (se mancano i figli), altri parenti entro il 6° grado (in mancanza di altri eredi), ed, infine, in mancanza id altri successibili. lo Stato.

  7. Il testatore è libero di disporre dei propri beni o è soggetto a dei vincoli?
  8. Chi si accinge a fare testamento deve tenere ben presenti i limiti ed i vincoli previsti dal nostro codice civile a tutela dei cd. eredi legittimari.
    Sono legittimari le persone in favore delle quali la legge riserva una quota dell'eredità: coniuge, figli, ascendenti (se mancano i figli).
    Il testatore, infatti, può disporre liberamente solo della cd. quota disponibile, dovendo sempre rispettare le quote di legittima assegnate agli eredi legittimari (cd.successione necessaria).
    La quota di legittima, infatti, rappresenta la parte dell’eredità che deve andare comunque ai parenti indicati, anche contro la volontà del de cuius.
    Nell’ordinamento successorio italiano non esiste la possibilità di “diseredare” alcuni parenti (i più prossimi).
    La quota disponibile è, invece, la parte di eredità che il testatore può lasciare a chiunque,  compresi anche agli eredi già beneficiari della quota di legittima (legittimari). In questa circostanza, la quota disponibile va ad accrescere la quota legittima.

  9. Quali azioni ha a disposizione chi pretenda di essere erede nei confronti di chi possiede sine titulo i beni ereditari?
  10. Chiunque pretenda di essere erede può chiedere il riconoscimento della qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza alcun titolo, al fine di ottenere la restituzione dei beni stessi (azione di petizione ereditaria).
    L'azione è esperibile erga omnes ed è imprescrittibile salvi gli effetti dell'usucapione che altri abbia maturato sui beni ereditari.

  11. Cosa si intende per donazione?
  12. In base all'art. 769 c.c., la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l' altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione.

  13. Quale forma deve rivestire il contratto di donazione?
  14. La donazione deve essere stipulata con atto pubblico. In mancanza di questa forma l'atto è nullo (art. 782 c.c.). Tale forma non è necessaria quando si effettua una donazione di modico valore, come accade frequentemente nella vita di tutti i giorni. In casi simili, la donazione è perfezionata quando ci sia stata la semplice consegna del bene (art. 784 c.c.).

  15. La donazione può essere impugnata? Se sì, per quali motivi? Può essere revocata?
  16. La donazione si può impugnare per errore sul motivo della donazione stessa, ma soltanto se il motivo risulti sull'atto e sia stato l'unico che ha determinato il donante a compiere la liberalità (art. 787 c.c.). Dopo che è stata accettata, la donazione può essere revocata (art. 800 c.c.): per ingratitudine, quando il donante subisca ingiuria, tentato omicidio, calunnia, ecc. da parte del donatario (in questo caso, il donante ha tempo un anno dal giorno in cui scopre l'ingratitudine per revocare la donazione); per sopravvenienza di figli, e cioé quando per il donante si determini la sopravvenienza di un figlio (o nel caso in cui se ne ignorava l'esistenza), e in tal caso si ha tempo 5 anni dal giorno della nascita o dal giorno in cui si è scoperto di avere un figlio per revocare la liberalità (cfr. artt. 803 e 804 c.c.).

    DIRITTO DI FAMIGLIA

  1. Famiglia legittima e famiglia di fatto: quali sono i diritti e gli obblighi del convivente?
  2. La giurisprudenza nega una completa equiparazione tra famiglia legittima e famiglia di fatto, cercando comunque di reperire qualche forma di tutela.
    Vengono soprattutto in rilievo:
    Il rapporto di filiazione: la filiazione naturale è pressoché equiparata a quella legittima ed i figli naturali godono degli stessi diritti dei figli legittimi e, di conseguenza, i genitori hanno nei loro confronti i medesimi obblighi dei genitori coniugati.
    Diritti ed obblighi tra conviventi: per quanto riguarda i rapporti mortis causa, la Corte Costituzionale ha più volte negato che il convivente possa essere assimilato al coniuge: da qui l'importanza di tutelare il proprio convivente mediante redazione di testamento; per quanto concerne i rapporti inter vivos durante la convivenza, la giurisprudenza configura l’obbligo di mantenimento come obbligazione naturale  mentre dopo la rottura della convivenza non è configurabile alcun rapporto: in entrambi i casi è consigliabile la stipulazione, con l'assistenza di un avvocato, di appositi accordi di convivenza per la regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali tra i conviventi more-uxorio e in relazione all'educazione / affidamento / mantenimento dei figli minori, e ciò sia in costanza di rapporto sia in previsione di una ipotetica rottura del rapporto.
    Rapporti con i terzi: ciò che può all’occorrenza rilevare non è tanto l’esistenza di una famiglia di fatto, quanto il fatto della convivenza. L’uccisione del partner dà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc, mentre per quello patrimoniale il convivente superstite deve dare la prova della durata e stabilità delle contribuzioni ricevute in vita dal defunto.
    Il convivente, inoltre, succede nel contratto di locazione ex art. 6 l. 392/78 se il locatario muore.

  3. Che differenza c'è tra la separazione consensuale e quella giudiziale dal punto di vista del procedimento e degli effetti?
  4. La separazione legale tra coniugi può essere consensuale o giudiziale, a seconda che sussista o non sussista un accordo dei coniugi sia sul fatto di separarsi sia sulle sue modalità (es. assegno, affidamento figli…).
    In ogni caso occorre un intervento del giudice e, quindi, l'assistenza di un avvocato che assista i coniugi.
    In caso di separazione consensuale - che in genere si risolve in un'unica udienza fissata nell'arco di un paio di mesi dal Presidente del Tribunale davanti al quale i coniugi compaiono per sottoscrivere le condizioni di separazione concordate - il Tribunale omologa l'accordo e i coniugi sono giuridicamente separati.
    Gli effetti della separazione consensuale sul piano personale sono, a titolo meramente esemplificativo, la sospensione dell'obbligo di coabitazione, di assistenza morale e di collaborazione, di fedeltà, ecc...; resta fermo, invece, l’obbligo di assistenza patrimoniale. L’uso del cognome della moglie può essere oggetto di accordo.
    In caso di separazione giudiziale, invece, il procedimento inizia con il deposito di un ricorso da parte del coniuge richiedente avanti il Tribunale competente per territorio. All'udienza di comparizione delle parti, il Presidente autorizzerà i coniugi a vivere separati ed eventualmente stabilirà un assegno in via provvisoria e provvederà sull'affidamento e mantenimento dei figli adottando i provvedimenti provvisori e urgenti, mentre nella successiva fase istruttoria, il G.I assumerà le prove, anche d’ufficio.
    Il nostro ordinamento prevede la cd. separazione senza colpa, per intollerabilità della convivenza in base a circostanze obiettive ma valutate dal giudice tenendo conto della situazione soggettiva delle parti. Il giudice può altresì pronunciare la separazione dichiarando l’addebito a un coniuge (151, c.2, cc), ove ne sia richiesto e ne ricorrano le circostanze, avuto peraltro riguardo al comportamento dell’altro. La pronuncia di addebito potrà anche riguardare entrambi i coniugi. Sono fatti addebitabili quelli che ledono il dovere coniugale di lealtà, quali i maltrattamenti, le denigrazioni, l’incarico dato a terzi di rapinare un coniuge, l’imposizione di prestazioni sessuali anomale e l’omessa assistenza morale e materiale, ivi compreso l’abbandono della casa coniugale senza giusti motivi. L’adulterio non è di per sé causa di addebito ma va valutato anche in considerazione della condotta dell’altro coniuge e deve rivestire i caratteri della gravità (notorietà…).
    Gli effetti della separazione giudiziale sul piano personale sono gli stessi della separazione consensuale.
    Sul piano patrimoniale, l’assegno di mantenimento spetta al coniuge a cui non sia stata addebitata la separazione per garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, qualora questi non riesca a farvi fronte con i propri redditi, ivi comprese le elargizioni, continuative e regolari, da parte dei familiari, e purchè il versamento dell’assegno non determini nel coniuge obbligato problemi di sopravvivenza. E’ applicabile  per analogia l’art 5, c.6, LD, per cui il coniuge titolare dell’assegno è tenuto ad attivarsi alla ricerca di mezzi idonei al proprio mantenimento, lavorando.
    Al coniuge cui è addebitabile la separazione sono in ogni caso dovuti gli alimenti, qualora ricorrano gli estremi ex artt. 433ss cc.
    La separazione personale rileva sul piano della cessazione della comunione legale dei beni.

  5. Dopo quanto tempo dalla separazione personale è possibile chiedere il divorzio? E con quale procedura? E i suoi effetti?
  6. Una volta ottenuto il decreto di omologa della separazione da parte del Tribunale competente e trascorsi tre anni dalla data di omologa, le parti possono richiedere il divorzio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di matrimonio concordatario o per lo scioglimento del matrimonio.
    Per ottenere il divorzio è sempre necessaria una sentenza che accerti la presenza di determinate condizioni soggettive e oggettive, su ricorso del coniuge interessato o di entrambi i coniugi.
    Il procedimento è disciplinato dall’art. 4 L.Div. ed è analogo a quello per la separazione giudiziale. Con i provvedimenti presidenziali, urgenti e provvisori, il Presidente fissa l’assegno e affida i figli minori, rimettendo le parti davanti al G.I. con l’intervento obbligatorio del PM..
    In caso di divorzio congiunto, se le condizioni di cui al ricorso non rispondono all’interesse dei figli, il Tribunale dichiara applicabile l’ordinaria procedura e rimette le parti avanti al G.I.
    Con la sentenza il Tribunale ordina all’ufficiale di stato civile di annotare la sentenza che, una volta passata in giudicato, va annotata in calce all’atto di matrimonio e da questo momento il divorzio ha efficacia erga omnes mentre tra le parti produce effetti dal giorno della sentenza stessa.
    La pronuncia del divorzio determina la fine ex nunc dello status coniugale con tutti i conseguenti effetti, sia personali che patrimoniali. Sul piano patrimoniale, peraltro, l’assegno divorzile disposto dal Tribunale è dovuto fino a quando il coniuge muoia o si risposi, salvo il caso estremo di mancata instaurazione della comunione materiale e spirituale. L’assegno va corrisposto solo quando il coniuge non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive (es. qualora non possa lavorare per ragioni di salute, anche provocate, o per le condizioni offerte dal mercato del lavoro tenuto conto della qualificazione personale e della posizione sociale). La misura dell’assegno va fissata tenuto conto del reddito dei coniugi, delle cause del divorzio, del contributo personale ed economico dato da ciascuno o di quello comune, il tutto in relazione anche alla durata dell’effettiva convivenza.
    Se le parti concordano che la corresponsione avvenga in un’unica soluzione, ritenuta equa dal Tribunale, non può più essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

  7. L'assegno divorzile può essere escluso o ridotto in caso di convivenza more uxorio dell'ex coniuge beneficiario?
  8. La Suprema Corte, con sentenza n. 13060/02, premesso che l'attribuzione dell'assegno di divorzio dipende indefettibilmente dal positivo deterioramento del tenore di vita del richiedente, causato dalla mancanza di mezzi adeguati o dall'oggettiva impossibilità di procurarseli, rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio ovvero a quello ragionevolmente e legittimamente sperabile in base alle aspettative maturate in costanza di matrimonio, ha fissato il principio per cui indagine prioritaria, al fine di stabilire la misura di detto assegno "doveva essere quella diretta ad accertare il tenore di vita dei coniugi, da assumere come parametro di riferimento ai fini dell'attribuzione dell'assegno", ed ha osservato che “una convivenza di tipo coniugale di lunghissima durata, pari ormai a quella stessa del matrimonio, è considerata giustamente di elevato peso, al fine della limitazione dell'assegno di divorzio, non solo per la ragione relativa all'obiettivo impedimento che ne deriva per il ripristino del consorzio familiare, ma anche perché non può non avere riflessi sull'effettiva condizione economica della  richiedente, pur non giungendo all'esclusione totale del diritto all'assegno, che si verifica soltanto in caso di passaggio a nuove nozze (articolo 5 cit., comma decimo)”.
    Pertanto, mentre l'eliminazione dell'obbligo potrebbe non essere concessa dal Tribunale (salvo nuove nozze), è invece prevedibile che, in presenza di redditi apportati dal convivente more uxorio la richiesta di riduzione dell'assegno divorzile verrà senz'altro accolta.

  9. Cosa si intende per affidamento condiviso dei figli minori?
  10. La riforma introdotta dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54 ha posto come regola generale quella dell'affidamento condiviso, secondo la quale i figli minori vengono affidati ad entrambi i genitori, i quali continuano ad esercitare la potestà genitoriale.
    E' bene precisare comunque che la riforma non implica necessariamente che i figli dal momento della separazione in poi, dovranno vivere con entrambi i genitori, a giorni o settimane alterne, in ugual misura.
    Sarà il giudice che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, stabilirà tempi e modalità di permanenza dei figli presso ciascun genitore, indicando il genitore presso il quale dovranno vivere anche dopo la separazione e i rispettivi obblighi di mantenimento.
    Nel caso di affidamento condiviso si deve, poi, fare distinzione tra questioni di ordinaria e straordinaria amministrazione: riguardo alla primail giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente, mentre le decisioni di maggiore interesse per i figli, quali quelle relative alla salute, all’istruzione e all’educazione devono essere assunte di comune accordo, tenendo conto della capacità e dell’inclinazione dei figli.
    La regola dell'affidamento condiviso, tuttavia, proprio perchè regola, non sfugge all'eccezione: ed infatti, il giudice potrà avvalersi della facoltà di affidare i figli ad un solo genitore "quando ritenga che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore" e, quindi, non solo quando un genitore realizzi comportamenti di grave abuso verso i figli ma anche in tutti quei casi in cui ci sia una elevata conflittualità tra il figlio e un genitore o gravi difficolta’ nel loro rapporto.In tali casi, l'affido esclusivo può essere disposto d'ufficio o su richiesta dei genitori.

  11. Se prima dell'entrata in vigore della legge di riforma è stato disposto l'affidamento esclusivo dei figli minori ad un solo genitore, è possibile chiedere l'affidamento condiviso?
  12. Sì. Infatti, i genitori che hanno ottenuto in epoca anteriore all'entrata in vigore della nuova normativa un provvedimento del Tribunale con il quale era stato disposto l'affido esclusivo dei figli minori ad un solo genitore, possono richiedere l'affidamento condiviso, instaurando avanti al Tribunale competente un procedimento di modifica e di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio.

  13. Cosa si intende per assegno di mantenimento dei figli?
  14. Salvo accordi diversi tra le parti, ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. A tale scopo, il giudice stabilisce ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico a carico di uno o di entrambi i genitori, da determinare considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi, ecc..
    In caso di figli maggiorenni ma non indipendenti economicamente, il giudice può disporre in favore dei figli il pagamento di un assegno periodico, che, salva diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Il diritto cessa se la sua mancata indipendenza economica debba ritenersi conseguenza di inerzia o di rifiuto ingiustificato a prestare lavoro da parte del figlio stesso, quindi per sua colpa.
    L’obbligo al mantenimento comprende, oltre che cure per i bisogni fondamentali, anche le spese di una personale vita di relazione secondo l'ambiente sociale in cui la famiglia vive.

  15. Come è regolata l'assegnazione della casa coniugale in caso di separazione dei coniugi e divorzio?
  16. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli; tuttavia, dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare da parte del genitore affidatario o collocatario viene meno nel caso che questi non abiti o cessi di abitare nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

  17. Cosa si intende per obbligo alimentare e su chi grava tale obbligo? e in favore di chi?
  18. In generale, va detto che il diritto ad essere alimentato da un terzo può nascere da un accordo bilaterale (c.d. contratto di vitalizio alimentare) oppure da un lascito testamentario a titolo di legato alimentare (art. 660 cc) o ancora dalla legge (quando oltre alla prova dello stato di bisogno vi è un vincolo familiare o vi è stata una donazione).
    Il rapporto familiare necessario al fine della sussistenza di un vincolo alimentare è descritto dall’art. 433 cc (“All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine: 1) il coniuge; 2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi anche naturali; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali”), nonché, per il coniuge divorziato, dall’art. 5 comma 4 L.D..
    Il donatario, inoltre, è tenuto nei confronti del donante con precedenza su ogni altro obbligato (a meno che non si tratti di donazione obnuziale o remuneratoria), nei limiti del valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.
    Gli alimenti spettano solo a chi versi in stato di bisogno (valutato in concreto e con riferimento alle effettive condizioni del soggetto) e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, anche se tale stato consegue ad un proprio comportamento colposo, salvo, in tal caso, una riduzione in caso di una condotta disordinata e riprovevole.
    L’obbligo alimentare si distingue dall’obbligo di mantenimento in quanto quest’ultimo mira a soddisfare qualsivoglia esigenza di vita, anche quelle non strettamente necessarie, mentre con l’obbligo alimentare si viene incontro alle esigenze più elementari della vita, come il vitto, il vestiario, le cure mediche, l’abitazione, ecc.
    La misura degli alimenti deve essere rapportata al bisogno di chi li domanda e alle condizioni economiche di chi li deve somministrare, con il limite massimo di quanto è necessario alla stregua di un'ordinaria amministrazione (avuto però riguardo alla posizione sociale dell’alimentando), salvo per i fratelli, per i quali l’obbligo sussiste nella misura dello stretto necessario.
    Se vi è una pluralità di obbligati dello stesso grado tutti devono concorrere in proporzione delle proprie condizioni economiche (obbligazione divisibile, non solidale).

  19. Cosa si intende per interdizione?
  20. Una persona che si trova in stato di infermità di mente grave ed irreversibile che pregiudica la sua capacità di intendere e di volere nonché la possibilità di curare i propri interessi, può essere, dietro presentazione di un ricorso, dichiarata interdetta divenendo così giuridicamente incapace di agire. Di conseguenza non potrà più compiere personalmente alcun atto negoziale o giuridico, ma ad essa si sostituirà il tutore, nominato dal Tribunale.

  21. Chi è l'amministratore di sostegno? In quali casi è opportuna la sua nomina?
  22. La legge n°6/2004 ha introdotto la figura dell’amministratore di sostegno, con la quale si è inteso tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.
    Dietro presentazione di un ricorso al Giudice Tutelare può, infatti, essere nominato un amministratore di sostegno alla persona che "per effetto di una infermità ovvero menomazione fisica o psichica, si trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi".
    La scelta dell’amministratore avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del beneficiario, preferibilmente tra i prossimi congiunti o tra coloro che già se ne prendono cura e può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
    Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve specificare puntualmente l'oggetto dell'incarico e gli atti che l'amministratore deve compiere in nome e per conto del beneficiario della tutela. Il soggetto tutelato conserva la propria piena capacità d'agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e può, in ogni caso, compiere tutti quegli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.

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