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DOMANDE FREQUENTI
In questa sezione vengono messe a disposizione, a titolo di consultazione, nozioni ed informazioni concernenti le categorie Diritto Civile e Diritto Penale.
Si tratta di risposte ad una serie di questioni che sono state poste all'attenzione dell'Avvocato civile e del lavoro Daniela Messina e che possono coinvolgere una pluralità di utenti, che necessitano di una prima valutazione da un punto di vista legale.
L'avvocato Daniela Messina invita a visitare periodicamente il sito internet, la Pagina FACEBOOK “Studio Legale Avv.Daniela Messina” @avvocatodanielamessina e il BLOG dell'Avv.Daniela Messina https://avvocatomessina.wordpress.com/ per poterne apprezzare i progressivi aggiornamenti.
Va precisato che, per una miglior comprensione degli argomenti, le risposte sono espresse in linguaggio semplice e il più possibile comprensibile a tutti e, pertanto, devono intendersi necessariamente a carattere generico ed esemplificativo.
Il visitatore potrà , altresì, contattare lo Studio Legale per chiedere approfondimenti su queste o altre materie di interesse mediante il semplice invio di una e-mail all'indirizzo
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REATO IN GENERE
- Sono stato vittima di un reato, cosa posso fare?
E' opportuno che chi subisce un reato provveda a farne denuncia o a querelarne l'autore, al fine di consentire il suo perseguimento penale.
In ordine ad alcuni reati specifici, tuttavia, la sola presentazione di una denuncia non è sufficiente: affinché si proceda penalmente contro il reo occorre, infatti, che venga sporta dalla persona offesa un'apposita querela (ad esempio per i reati di lesioni, percosse, ingiuria, diffamazione, furto, danneggiamento, truffa, appropriazione indebita, minaccia, violenza privata, violenza sessuale etc.).
La querela può essere presentata oralmente avanti alle Forze dell'Ordine (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Polizia Postale) oppure a mezzo di un atto scritto da depositare, personalmente o mediante difensore a ciò delegato, avanti alle predette Autorità o direttamente in Procura (soluzione vivamente consigliata): in tal caso - data l’importanza di una corretta esposizione dei fatti, sia a livello sostanziale sia a livello procedurale, e, soprattutto, il rispetto dei termini previsti dalla legge a pena di decadenza - è opportuno rivolgersi ad un legale, che vi ausilierà e curerà la redazione della querela, assicurando così la tutela dei Vostri diritti e la procedibilità penale nei confronti del reo.
La querela (e non anche la denuncia) può essere rimessa dalla persona offesa-querelante e, in tal caso, il procedimento penale a carico del reo si estingue: questa soluzione viene per lo più adottata quando il reo offre all'offeso un risarcimento dei danni subiti e quest'ultimo non ha interesse a che il danneggiante venga penalmente giudicato.
- Cosa si intende per “consenso dell'avente diritto”? E quando un tale consenso esclude la punibilità di chi lede il diritto?
L’art.50 cp stabilisce che non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporre. Il consenso dell’offeso ha per effetto di giustificare o rendere lecito un fatto che altrimenti costituirebbe illecito penale: in tal caso, quindi, il reo sarà prosciolto con la formula “il fatto non costituisce reato”.
Il consenso non ha natura di negozio giuridico: esso va configurato come un semplice atto giuridico, cioè un permesso col quale si attribuisce al destinatario un potere di agire, che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente. Il consenso è sempre revocabile a meno che l’attività consentita, per le sue stesse caratteristiche, non possa essere interrotta se ad avvenuto esaurimento.
Ora, perché esplichi efficacia scriminante, il consenso deve essere libero o spontaneo: esso cioè deve essere immune da violenza, errore o dolo.
Può essere prestato in qualsiasi modo ed è indifferente il mezzo (scritto, orale, etc), con cui si manifesta. Può anche essere desunto dal comportamento oggettivamente univoco dell’avente diritto (consenso tacito) purchè sussista al momento del fatto.
Non è neppure richiesto, in applicazione dell’art.59 cp che la volontà del consenziente giunga effettivamente a conoscenza del destinatario: il consenso è putativo se il sogetto agisce nell’erronea supposizione della sua esistenza, ma la sua efficacia scriminante viene meno ove debba escludersi, in base alle circostanze del caso concreto, la ragionevole persuasione di operare col consenso della persona che può validamente disporre del diritto.
Il consenso dell’offeso è, invece, presunto quando si può fondatamente ritenere che il titolare del bene lo avrebbe concesso se fosse stato a conoscenza della situazione di fatto.
La legittimazione a prestare il consenso resta al titolare del bene penalmente protetto; nel caso di più contitolari occorrerà il consenso di tutti i cointeressati. La legittimazione può spettare al rappresentante legale o volontario, a meno che la rappresentanza non risulti incompatibile con la natura del diritto e dell’atto da consentire.
Il soggetto legittimato a consentire deve possedere la capacità di agire, intesa come maturità sufficiente a comprendere il significato del consenso prestato.
L’art.50 cp circoscrive la sfera di operatività della scriminante ai casi in cui il consenso abbia ad oggetto diritti disponibili.
L’interesse alla repressione viene meno solo se il consenso ha ad oggetto la lesione di beni di pertinenza esclusiva del privato che ne è titolare.
In tema di attività medico-chirurgica il medico è legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso.
L’espresso assenso del malato preclude la possibilità di configurare delitti quali quello di lesioni volontarie, ma solo nel caso di consenso validamente espresso (pertanto, nei limiti dell’art. 5 cod. Civ.).
Ciò nonostante, in presenza di urgenza terapeutica, o in altre ipotesi espressamente previste, il consenso non è necessario. Si tratta di situazioni che, pur non connotate da aspetti di urgenza, vengono affrontate immediatamente – senza il consenso del paziente – per evitare al medesimo ulteriori interventi, ovvero aggravi di patologia e che, pertanto, rendono sussistenti cause di giustificazione quali stato di necessità o adempimento di un dovere.
- Sono stato truffato da una società con la quale avevo concluso un rapporto di tipo commerciale. Posso querelare la società per truffa?Quali sono gli strumenti a mia tutela?
Il nostro ordinamento penale esclude la responsabilità penale delle persone giuridiche, ma prevede la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi da loro organi o sottoposti nell’interesse o a vantaggio dell’ente (Legge 300/00; Dlgs 231/01).
Tale normativa si applica anche alle società e alla associazioni di fatto (art. 1) ma non allo Stato e agli Enti Pubblici.
Perchè possa essere fatta valere la responsabilità amministrativa della persoan giuridica, occorre che il reato sia commesso da chi ha la rappresentanza o l’amministrazione o la direzione dell’ente o che lo gestisce o controlla, o da persone soggette alla vigilanza di uno di tali soggetti (art. 5), sempre nell’interesse dell’ente. Il reato dev’essere espressione di una colpa di organizzazione o della politica aziendale dell’ente. L’ente risponde anche quando l’autore del fatto- reato non è stato identificato o non è imputabile o anche se il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia.
La responsabilità della persona giuridica, peraltro, sussiste solo in casi tassativi di reato, tra i quali, ad esempio, i seguenti reati: 316bis, 316ter, 317-319, 319ter, c.1 e 2, 321, 322, 640bis e 640ter cp.
Si consiglia, comunque, di querelare la persona fisica con la quale si è contrattato, se conosciuta, oppure di presentare querela contro ignoti per i medesimi fatti.
- E' vero che non tutti i reati possono essere commessi da chiunque, ma alcuni possono essere commessi solo da certe categorie di persone?
Sì. La nostra legislazione penale distingue i reati a seconda dei soggetti che possono commetterli.
Sono detti reati comuni quelli che sono commissibili da chiunque; sono propri i reati che possono essere commessi solo da chi è in possesso di particolari requisiti (es. la qualità di madre per il reato ex art. 578 cp, la qualità di Pubblico Ufficiale per il reato ex art. 314 cp…).
- Ho sentito alla radio che una persona, che aveva provocato una lesione ad un'altra per evitarne una a sè, è stata prosciolta perché aveva agito in “stato di necessità”. E' possibile? E cosa si intende per “stato di necessità”?
Lo stato di necessità costituisce una scriminante (o causa di giustificazione) espressamente prevista dal nostro codice penale (art. 54 cp).
Le cause di giustificazione sono quelle situazioni normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico.
Nell’ipotesi dello stato di necessità si agisce per sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona e l’azione difensiva ricade non già su di un aggressore bensì su di un terzo estraneo, vale a dire su di una persona che non ha provocato la situazione di pericolo. L’art.54 cp richiede che il pericolo sia non volontariamente causato, né altrimenti evitabile. L’ultimo requisito richiesto è il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo. Il giudizio deve avere ad oggetto il rapporto di valore tra i beni configgenti.
- Si sente spesso parlare di legittima difesa, anche in relazione ai recenti fatti di cronaca. Se mi ritengo in pericolo, posso sempre difendermi da un'aggressione?E se sì, entro quali limiti?
La legittima difesa rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadino, nei casi in cui l’intervento dell’autorità non può risultare tempestivo.
Il fondamento dell’esimente è ravvisato nella prevalenza attribuita all’interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispetto all’interesse di chi si è posto fuori dalla legge.
La struttura della legittima difesa ruota attorno a due comportamenti che si contrappongono: una condotta aggressiva e una condotta difensiva.
La minaccia deve provenire da una condotta umana. Può scaturire anche da animali o cose solo se è individuabile un soggetto tenuto ad esercitare su di essi una vigilanza: in tal caso l’esimente si applicherà sia a favore di chi reagisce direttamente contro l’animale o la cosa sia a favore di chi reagisce contro la persona gravata dall’obbligo di custodia. Il pericolo di offesa può anche provenire da una condotta omissiva: ad esempio il rifiuto del proprietario di richiamare il cane mastino che sta aggredendo un bimbo integra una omissione, e ciò giustifica il padre che impugni un’arma per costringere il proprietario a far allontanare l’animale feroce.
L’attacco può avere ad oggetto un diritto altrui. Per diritto si deve intendere non solo il diritto soggettivo in senso stretto, ma qualsiasi interesse giuridicamente tutelato. La facoltà di difesa è esercitatile per la salvaguardia di tutti i beni indistintamente, inclusi i diritti patrimoniali (Cass.Pen.12/5/2003 n. 20727).
Presupposto fondamentale della difesa legittima è che l’aggressione provochi un pericolo attuale di offesa: occorre una minaccia di lesione incombente al momento del fatto, tale cioè che la reazione nei confronti dell’aggressore rappresenti l’unico mezzo per mettere al riparo il bene posto in pericolo.
La scriminante, tuttavia, non è invocabile se la situazione di pericolo è volontariamente cagionata dal soggetto che reagisce: in tal caso verrebbe meno il requisito della necessità della difesa o dell’ingiustizia dell’offesa. L’art.52 cp è, infatti, inapplicabile al provocatore o a chi accolga una sfida o affronti una situazione di rischio prevista o accettata. La legittima difesa viene esclusa in caso di rissa, posto che i partecipanti sono spinti da un reciproco intento aggressivo.Non è necessaria l’involontarietà del pericolo, anche se è presupposto tacito, tra i presupposti della scriminante.
E’ ingiusta l’offesa provocata contra jus, cioè arrecata in violazione delle norme che tutelano l’interesse minacciato. Il riferimento all’ingiustizia dell’offesa sta a significare che l’aggressione, oltre a minacciare un diritto altrui, non deve essere espressamente facoltizzata dall’ordinamento. Se ne deduce che non può invocare la legittima difesa chi pretende di reagire contro una persona la quale agisca nell’esercizio di una facoltà legittima espressamente stabilita dall’ordinamento o nell’adempimento di un dovere.
La reazione è giustificata se la difesa appaia necessaria per salvaguardare il bene posto in pericolo e il soggetto non deve avere, nel caso concreto, alternative.
Si discute se la legittima difesa esuli ove l’aggredito possa mettersi in salvo con la fuga. Il problema viene risolto tenendo conto del principio cardine del bilanciamento degli interessi: il soggetto non è tenuto a fuggire in tutti quei casi nei quali la fuga esporrebbe beni suoi personali o di terzi a rischi maggiori di quelli incombenti sui beni propri del soggetto contro il quale si reagisce.
Il secondo requisito necessario perché tale reazione possa apparire giustificata è quello della proporzione tra difesa e offesa: occorre prima operare un bilanciamento tra il bene minacciato e quello leso, con la conseguenza che all’aggredito che si difende non è consentito di ledere un bene dell’aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita.
REATI CONTRO LA FAMIGLIA
- Mia moglie, con la quale vivevo una vita familiare serena, un brutto giorno, del tutto improvvisamente e senza alcun preavviso, se n'è andata di casa per trasferirsi da un collega di lavoro, con il quale ha intrecciato una relazione sentimentale extraconiugale. Ho avviato le pratiche per la separazione giudiziale, con addebito a mia moglie; mi chiedevo: nel suo comportamento, è dato ravvisare una qualche ipotesi di reato?
Per rispondere a questa domanda, si ritiene opportuno richiamare l'orientamento giurisprudenziale espresso, in un caso analogo, dalla Corte di Cassazione Penale, con sentenza n. 9440/2000, che ha affermato la responsabilità dell'imputata che aveva arbitrariamente abbandonato il domicilio coniugale dopo avere avviato relazione sentimentale con un collega di lavoro.
Ed invero, mentre il semplice fatto di adulterio non coinvolgente la partecipazione di un coniuge alla vita dell'altro (sul piano morale, intellettuale e affettivo, oltre che fisico) non è sufficiente a integrare la condotta del reato di cui all'art. 570, primo comma C.P., l'allontanamento dal domicilio coniugale è per sua parte reato solo quando sia ingiustificato.
Va, peraltro, chiarito che deve ritenersi giustificato l'allontanamento quando ci si trovi in presenza non di un qualsiasi contrasto ma di un comportamento dell'altro coniuge così ingiurioso o iniquo da rendere all'altro impossibile o gravemente penosa la convivenza o quando sussistano ragioni di carattere interpersonale che non consentono il mantenimento dei rapporti a livelli umanamente accettabili.
Nel caso all'esame, peraltro, il contestato abbandono del domicilio coniugale non risulta in alcun modo giustificato nei sensi appena detti.
E' appena da aggiungere che in una situazione cosiffatta la violazione degli obblighi di assistenza è in re ipsa, non potendosi supporre che a breve termine la moglie possa mutare contegno e riprendere convivenza e comunione di vita col consorte.
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